Il manager musicale è una figura chiave per l’artista professionista, ma anche per il giovane che lo vuole diventare.
Uno degli scopi del nostro sito è quello di dare informazioni e consigli su alcune aspetti fondamentali della vita del musicista professionista.
Non siamo gli unici a darli, ma noi vogliamo sentire anche gli esperti del settore, coloro che hanno seguito o stanno seguendo i grandi artisti.
Pubblicheremo i loro articoli, faremo delle interviste esclusive e inoltreremo a loro le vostre domande.
Il primo articolo è di Luigi Calivà, manager di grande esperienza del settore radiofonico e discografico, è stato tecnico del suono live (negli anni 80/90), successivamente è stato direttore dell’ufficio discografico di RDS (radio) per 16 anni, e poi direttore marketing Friends & Partners divisione eventi (oggi F&P Group) .
Gli abbiamo chiesto di darci il suo parere riguardo alla figura del manager musicale e la sua importanza anche per i giovani artisti.
Buona lettura.
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Spesso ricevo da artisti emergenti e molto più spesso da artisti alle prime armi, la richiesta di diventare il loro manager.
Figuratevi la mia difficoltà nello spiegare loro cosa fa un manager, e ancora l’imbarazzo nello spiegare che qualsiasi lavoro deve essere giustamente remunerato… e che se dovessi accettare… rischierei di morire di fame in modo ancora più netto di come adesso questo mercato mi costringe… mio malgrado.
La realtà è che in Italia la figura del manager musicale non è mai stata inquadrata nel modo giusto. Si confonde il manager con l’impresario, con il produttore, con il promoter discografico o con il personal manager.
Un aneddoto che spesso racconto, e che ho vissuto personalmente, chiarisce in modo preciso come nei paesi evoluti musicalmente è considerata la figura del manager.
Diversi anni fa ero a cena con un grande artista internazionale, Lionel Ritchie, capitato al tavolo di fronte a lui cercavo con il mio stentato inglese di fare un minimo di conversazione.
Le mie domande, ovvie di fronte ad un artista di tale talento e di grande fama internazionale vertevano sul suo staff: «Quella è la mia segretaria», disse indicando una giovane ragazza «quella è la discografica dell’internazionale che mi segue spesso quando sono in promozione all’estero», e indicò un’altra ragazza «quella è la mia storica guardia del corpo, lavora con me da sempre» e indicò un gigante di colore. Io a quel punto io feci una innocente domanda finale: «ma il tuo manager chi è?». Lui facendo una breve pausa e sorridendo con aria molto pietosa nei miei confronti mi disse: «Io per incontrare il mio manager devo prendere un appuntamento». Rimasi molto sorpreso da questa affermazione e ne feci tesoro, conscio che in Italia le cose non andavano certo così.
Nel mio e-book didattico per giovani artisti e addetti ai lavori “Essere artisti nel nuovo mercato musicale e avere successo (Diventa manager di te stesso)“ chiarisco credo in modo molto chiaro e semplice, cosa fa il manager di un artista in Italia, e non solo cerco di fare capire come è necessario gestire in proprio la prima parte della carriera artistica:
“Il Manager è la figura professionale che supporta e rappresenta l’artista in tutte le sedi; case discografiche, etichette, agenzie di musica live (tour). Il manager condivide con l’artista le strategie e tutta l’attività da svolgere periodo per periodo, per la produzione e l’uscita di un prodotto discografico o la realizzazione di un tour. Insieme allo stesso artista analizza le proposte economiche, promozionali e di marketing che pervengono dalla casa discografica e dalle agenzie per il live o da altri soggetti legati all’attività artistica. Fa spesso scelte importanti in linea con la strategia condivisa con l’artista stesso. Il manager rappresenta un artista o diversi artisti in contemporanea, ed ha qualche volta una propria struttura organizzativa con un ufficio, una segreteria e strutture di promozione e ufficio stampa di sua fiducia”
Il manager dovrebbe essere un professionista che conosce in modo dettagliato il mercato discografico, le case discografiche ed il loro funzionamento (nel bene e nel male), avere esperienza di produzione discografica e produzione eventi live, conoscere bene il marketing musicale, essere esperto di contratti, conoscere le dinamiche della promozione radiofonica, televisiva e stampa, conoscere i nuovi mezzi come il web e il social marketing, e conoscere le dinamiche dell’attività di sponsoring.
Diversi anni dopo l’incontro con Lionel Ritchie divenni il manager di un artista importante. Durante il mio lavoro ho con diligenza cercato di applicare tutte le mie competenze professionali, ottenendo credo dei risultati lusinghieri almeno per un anno. Il lavoro mi piaceva molto e lo facevo con molto impegno, salvo presto trovarmi nella condizione di dover interrompere il mio rapporto perché il mio interlocutore non capiva bene cosa facessi e come lo facevo, sicuramente mal consigliato da qualche illuminato non privo di interessi personali. L’artista interpretava alcune mie decisioni (sempre condivise) come una mortificazione del proprio ruolo di artista, e considerava la mediazione ed il lavoro quotidiano da me svolto come inutile, e aggiungo non meno importante, troppo costoso.
La scorciatoia che molti artisti in Italia prendono per risparmiare sui compensi al proprio manager è quello di promuovere sul campo “manager” un fidanzato, un fratello, un padre o un parente vicino o lontano, oppure quella di promuovere un personal manager a manager a tutti gli effetti.
Peccato che tranne alcuni rarissimi casi i candidati promossi sul campo non hanno la necessaria esperienza per gestire il lavoro come dovrebbe essere gestito.
Altri artisti sono invece colti dalla sindrome dello “yes man” (molto diffusa in Italia) e non accettano un’analisi critica esterna, prendono le decisioni necessarie in prima persona e senza un confronto con nessuno, preferendo avere intorno persone che inevitabilmente ripetono la stessa solfa: «come sei bravo» «che bella idea» «che canzone meravigliosa» «gli altri sono tutti stronzi, non ti capiscono» e così via, procurando spesso danni non facilmente riparabili alla propria carriera.
Poi c’è la moda del manager che “va di moda”, e via tutti a cercare quel manager, lasciando il proprio anche dopo anni di duro lavoro. E qui l’’inevitabile ingolfamento di impegni e successivi scarsi risultati a causa della mancata personalizzazione del lavoro, con l’aggravante di facili paragoni tra i risultati ottenuti tra gli artisti della stessa scuderia
Ancora ci sono artisti che credono alla favola del manager all’interno della casa discografica… o interno alla propria agenzia di booking, questo spesso accade alla firma di un nuovo contratto o di un rinnovo. Oggi infatti le case discografiche per motivi economici ( visti i tempi non possono rinunciare a quel 10% su tutta l’attività live) si eleggono per contratto a manager, peccato che non hanno uomini e strutture per seguire tutti gli artisti, oppure li hanno, ma non fanno certo il lavoro del manager che spesso entra in conflitto con gli interessi di una casa discografica o di un’agenzia di booking, ma il conflitto di interessi è una caratteristica comune dell’Italia degli ultimi decenni, e non poteva mancare anche in questo settore.
Infine ci sono degli artisti che confondono il ruolo dell’avvocato con quello del manager. Diversi legali non fanno nulla per non generare questo equivoco, andando oltre il loro naturale ruolo di avvocati, lanciandosi in trattative e mediazioni con questo o con quell’interlocutore e che nulla hanno a che fare con le questioni legali. Volevo solo ricordare loro che non siamo in USA. In Italia gli avvocati dovrebbero fare solo gli avvocati, credo per regole deontologiche della professione.
In Italia ci sono diversi manager professionisti esperti e preparati, che hanno fatto e che fanno i manager di artisti… più o meno famosi. Alcuni come me hanno mollato, ed altri vorrebbero continuare credendo di potersi rendere ancora utili, ma spesso per tutti i motivi che ho elencato sono destinati ad ingrossare la schiera dei disoccupati italiani.
D’altronde perché il settore musicale dovrebbe essere diverso dal resto del paese, dove meritocrazia, preparazione, esperienza e professionalità non contano nulla?
Per mia esperienza personale ho cercato in questi ultimi anni di proporre e modulare in modo diverso il mio lavoro… offrendo a diversi artisti il lavoro di management a progetto con compensi da consulente che si esaurivano al termine di un periodo definito… ma senza successo.
Poi mi sono convinto che è inutile proporre un servizio a potenziali clienti che sono convinti di non averne bisogno. E mi sono rassegnato.
Concludo citando quanto un giorno il mio amico Massimo, brillante manager di successo di diversi artisti italiani, nel giustificarsi per aver deciso di mollare chiudendo la sua agenzia di management, nonostante avesse ancora diversi artisti di cui occuparsi:
« Il manager in questi tempi di crisi per gli artisti è un lusso, è come il caviale, non possono più permetterselo. Peccato per loro, perché tra poco pasteggeranno tutti a pane e mortadella.»
Con il senno del poi… aveva ragione.