Diego Conti: "La mia vita da cantautore 2.0"

In occasione del suo primo singolo "L'impegno", abbiamo fatto una chiacchierata con il giovane artista, che ci ha parlato del fatto che, nel 2017, si può ancora fare musica rimanendo fedeli a sé stessi.

Ventidue anni da compiere, decine di concorsi vinti, due singoli e un album in uscita. Nel mezzo, la partecipazione alla decima edizione di X – Factor, nel 2016. È Diego Conti, ragazzo cresciuto a “pane e vinili”, uno che la musica la mastica da sempre e le canzoni se le scrive da solo. Pronto a prendere il volo, ma consapevole che di strada da fare ce n’è tanta.

Quando hai iniziato a cantare e suonare?

La musica è nella mia vita da sempre, fin da quando, da piccolicissimo, mio padre e mio fratello mi hanno contagiato con questo grande amore. Spaziavamo tra generi diversi: Beatles, Rolling Stones, Led Zeppelin e tutto il rock anni Settanta, Battisti. A dieci anni ho chiesto la mia prima chitarra, ma, arrivato in negozio, mi sono venuti mille dubbi: forse un primo assaggio del rapporto conflittuale che avrei avuto con la mia passione. Subito dopo ho iniziato a studiare chitarra classica al Conservatorio di Frosinone e nel frattempo mi esercitavo in quella elettrica in camera mia. A 12 anni, assieme a ragazzi di 18 e 19 anni, ho fondato il gruppon “The Heaven”, con cui abbiamo girato il Lazio suonando cover; ricordo che la chitarra era più grande di me. A 14 anni ho lasciato la band con il sogno di diventare cantautore, a 15 ho partecipato al Tour Music Fest, il festival internazionale della musica emergente di Roma, con una mia canzone. Da quel momento ho scritto sempre di più e sono arrivate le prime grandi soddisfazioni, tra cui le collaborazioni con i rapper Tormento e Clementino.

Adesso sei arrivato ad un punto cruciale della tua crescita artistica…

Sì, il mio primo singolo “L’impegno” è finalmente uscito, tra qualche mese arriverà una seconda canzone e, dopo settembre, l’intero album. Sono molto felice.

Quali sono state le principali difficoltà nella tua carriera? E le gioie più grandi?

Per anni ho avuto una preoccupazione: mi chiedevo se, essendo un cantautore, sarei riuscito ad avere visibiltà con la mia musica; pensavo che gli interpreti avessero molte più possibilità. È anche grazie a X Factor che mi sono ricreduto. È vero, sono stato eliminato la prima sera, ma questa esperienza mi sta aiutando a trovare un mio spazio. Le gioie? Il mio primo singolo, suonare al Festival Show, vicino a Treviso, davanti a 30 mila persone, un incontro amichevole con Ron nel mio post X Factor a casa sua a Garlasco.

Parlami della scena musicale italiana del 2017: come la vedi e come la vorresti?

Devo dire che la sto apprezzando, dopo qualche anno un po’ buio per i cantautori adesso è uscito il sole: per chi scrive le proprie canzoni le opportunità ci sono, soprattutto con le etichette indipendenti.

Credi che si possa vivere di musica restando fedeli a sé stessi?

Sono convinto di sì. Anche quando ho partecipato a X Factor sono rimasto me stesso, senza ripensamenti. Certo, avere la fortuna di essere supportati da un team che crede in te e nelle tue scelte fa la differenza e per questo ringrazio la Rusty Records. D’altra parte, credo nel cambiamento e sono favorevole alle collaborazioni: evolversi è necessario e non significa snaturarsi.

Nel 2016 hai partecipato a X Factor. Alla luce di questa esperienza, pensi che i talent siano un ostacolo alla piena espressività artistica, oppure una via come un’altra per farsi conoscere dal grande pubblico?

Vedo i talent come una grande vetrina, un mezzo che ha dato una chance a me e molti altri; sta a noi decidere se sfruttarla o no. L’unico limite di questi format è quello di non poter cantare, per regolamento, le proprie canzoni e non poter quindi esprimere quello che si ha dentro.

Cosa ne pensi della gavetta? È necessaria o si può bypassare?

Si tratta di una palestra indispensabile per chiunque. Io non sono nato con X Factor, ma ho iniziato, giovanissimo, a scrivere canzoni nella mia cameretta. Ho partecipato a concorsi, concerti e concertini, ho suonato davanti a venti persone nei peggiori bar di Caracas. La gavetta, comunque, per me non è ancora finita.

Come ti vedi in futuro?

Sul palco a cantare le mie canzoni, nella mia testa non esiste un’altra versione di me. Ho fatto tanti passi e altrettanti ne voglio fare, più vado avanti e più sono pesanti, ma ne ho una voglia matta. Non esiste altro che io ami così tanto.

Quali sono i consigli che daresti a un ragazzino desideroso di intraprendere la strada della musica?

Di iniziare a suonare senza l’obiettivo di far successo, di divertirsi e fare quello che gli piace. La notorietà se è importante, non lo nego, ma la musica dà anche tanto altro.

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