Inauguriamo oggi la serie di interviste che dedicheremo ad alcuni degli artisti emergenti scelti da Cristina Donà per reinterpretare i brani del mitico album “Tregua”, in occasione del ventennale della pubblicazione.
A pochi giorni dall’uscita (15 settembre ndr) di questo tributo, che si intitolerà “Tregua 1997-2017 Stelle Buone”, abbiamo ritenuto doveroso lasciarci guidare da una che di buona musica ne sa davvero tanto, alla scoperta di suoni e persone che hanno molto da dire e da dare alla musica italiana di oggi.
Emergenti per modo di dire. Emergenti perché fedeli a sé stessi, perché non disposti a scendere a compromessi troppo grandi con la propria creatività. In realtà artisti con le spalle grandi, eclettici, carismatici, ribelli, spesso indie, autoprodotti, che ci raccontano una nuova strada per emergere, quella dell’affidarsi al puro amore per la musica.
È il caso di Chiara Vidonis, 35enne triestina, il cui primo album “Tutto il resto non so dove”, pubblicato nel 2015 e interamente autoprodotto, ha letteralmente stregato la critica di settore per il suo rock acido e tirato, per i testi mai scontati, per la sensibilità intensamente femminile e femminista, per la personalità forte e ribelle.
Ci è bastato un primo ascolto all’album e una chiacchierata telefonica con lei per diventare suoi fan sfegatati. Scommettiamo che ci date ragione?
Raccontaci di te, triestina ma ormai a Roma da alcuni anni. Quando e come hai mosso i primi passi nel mondo della musica?
In realtà c’è una novità: dopo dieci anni trascorsi a Roma, da poco più di un mese sono rientrata a Trieste. A Roma mi ero trasferita nel 2006, originariamente, per amore, ma poi l’amore è finito e io mi sono fermata perché c’erano altre cose che mi trattenevano lì. Il disco è stato incubato a Trieste, ma poi è nato a tutti gli effetti a Roma.
Tornando alla tua domanda, non so dire quando sia nata la passione per la musica, fin da piccola tutto quello che facevo era legato in qualche modo a questo ambito. Come molti, ho iniziato suonare con le prime band verso i 14 anni, ma facevamo prevalentemente cover; provi, sperimenti varie situazioni, anche trascurabili, ma alla fine è l’esperienza sul palco quella che conta, anche se non hai un repertorio originale, perché è lì che sviluppi un tuo gusto e una tua personalità musicale. Da lì, piano piano, ho iniziato a cercare la mia strada creativa. A Trieste avevo un gruppo, i Linea Bassa, con un repertorio di canzoni originali. Poi, quando quest’esperienza è finita, ho cercato la mia strada, e ho trovato dei musicisti il cui apporto è stato fondamentale in questi anni, in particolare per la buona riuscita del mio disco. Si tratta, infatti, di un disco molto suonato, che va in direzione opposta rispetto a quella di molta produzione discografica di oggi, nella quale si suona poco e la tendenza dominante è quella di togliere. Loro sono Daniele Fiaschi, Andrea Palmeri, Simone De Filippis, con me anche nei live; e Stefano Bechini, che ha prodotto il mio disco nella quasi totalità. Senza, mi sentirei persa.
Quali sono gli artisti che hanno segnato il tuo modo di essere cantautrice? Quali quelli che ammiri nel panorama musicale di oggi sia in Italia che all’estero?
Non sempre gli ascolti si traducono in influenze nella musica che un artista crea. I miei, ad esempio, includono molto cantautorato, da De Andrè a Guccini. In particolare quest’ultimo per me è il più grande cantautore che abbiamo mai avuto. Però la mia scrittura non è per niente simile alla sua. Per quanto riguarda l’essere una musicista donna, il mio faro è sempre stato Carmen Consoli, a lei mi sono ispirata nel modo di scrivere e di suonare. Di lei ho sempre apprezzato l’ essere nel contempo musicista, performer e cantante. Negli anni 90, in una scena musicale dominata dai maschi, lei era una vera mosca bianca, non la classica pupa carina che sapeva solo cantare, ma una musicista bravissima, capace di scrivere sia musica raffinata che grandi singoli e di stare sul palco in modo super carismatico. Stessa cosa per Cristina Donà, che ho scoperto un po’ dopo: anche lei è a un livello superiore. Nel panorama internazionale, invece, senza dubbio mi hanno influenzata PJ Harvey, Alanis Morissette, gli Skunk Anansie, Tori Amos, per l’unione di suono pesante e buona scrittura. Erano tutti artisti che ai tempi andavano a Festivalbar portando però suoni elevati.
Apprezzo molto quando una canzone è scritta in modo semplice ma, almeno in passato, nel panorama italiano accadeva spesso che fosse accompagnata da suoni poco curati o comunque decisamente pop. All’estero invece si riusciva tranquillamente a unire una buona scrittura con suoni forti e studiati. Per fortuna che oggi anche da noi le cose sono migliorate.
Hai citato Cristina Donà. Con lei c’è un interessante progetto in uscita, la riedizione del suo primo album, “Tregua”, in occasione del ventennale, reinterpretato da dieci artisti emergenti, tra i quali appunto ci sei anche tu. Noi non vediamo l’ora di ascoltarlo. Tanto più che è stato proprio Michele Monina a dire del tuo album, quando è uscito, “l’ascolto di questi brani ha avuto lo stesso effetto dell’ascolto di Tregua, su chi scrive, un impatto devastante da un punto di vista emotivo e razionale. La sensazione di essere di fronte a un’artista di livello superiore, arrivata e destinata a rimanere.”
Come è naturale che sia, mi ha fatto molto piacere ricevere questa e anche altre recensioni di Monina, anche se so che poi comunque le recensioni vengono molto influenzate dal gusto personale di chi scrive. A lui il disco è piaciuto tanto, so che mi stima e si interessa alla mia musica. Ma quando è stata Cristina direttamente a chiedermi di reinterpretare un suo testo, dicendomi in qualche occasione che le ricordavo se stessa quando era più giovane, lì devo dire che ho raggiunto l’apice della soddisfazione.
Per “Tregua 1997-2017 Stelle Buone” ci è stata data la possibilità di scegliere tre o quattro pezzi con i quali ci sentivamo in sintonia. Sono stata io a proporre il pezzo che poi mi è stato assegnato, “Raso e chiome bionde”, che è stato riarrangiato con i miei musicisti e prodotto dal mio chitarrista Daniele Fiaschi.
Scrivi tu sia testi e musiche. Come nasce una canzone, qual è il processo creativo che c’è dietro?
Scrivo sempre molto mi lascio ispirare liberamente da immagini e concetti, da lì parto per sviluppare un testo e piano piano cerco di arrivare a qualcosa di musicale. In un secondo momento ragiono su quello che può funzionare o meno. Senza dubbio però il punto di partenza è la parola, il testo per me ha grande importanza.
Cosa c’è dietro questi testi a tratti arrabbiati, cinici, femministi?
Essendo la mia una scrittura istintiva, c’è tanto di me dentro, ci sono emozioni che ho bisogno di elaborare e di far uscire. Non necessariamente si tratta di qualcosa che mi è successo in prima persona, possono essere anche situazioni che mi hanno colpito. Ci sono però delle tematiche ricorrenti, me ne sto accorgendo ora, nello scrivere il secondo disco, dove stanno ritornando: i rapporti interpersonali, in particolari quelli nel contesto famigliare, l’influenza dei genitori… Sono temi che magari non si percepiscono chiaramente nel testo, ma solo io so davvero perché ho scritto una determinata cosa.
Poi non posso negare di essere una persona istintiva, “infiammina”, una di quelle che scattano di nervi spesso e volentieri.
Premio Bianca d’Aponte nel 2011 (il premio dedicato al cantautorato femminile, voluto da Gaetano D’Aponte per ricordare la figlia Bianca, tragicamente scomparsa a solo 23 anni ndr), Premio Pigro nel 2014 (il premio dedicato alla memoria di Ivan Graziani ndr): molti riconoscimenti sempre in un ambito che definirei di nicchia. “Tutto il resto non so dove” ha quasi due anni di vita ed è stato autoprodotto e distribuito in collaborazione con Goodfellas Records. Possiamo quindi definirti una musicista indie? Hai mai pensato a un talent o a qualche scorciatoia per arrivare velocemente al grande pubblico?
È vero, sono decisamente indie se per indie intendiamo un prodotto svincolato da case discografiche.
I concorsi non li amo e non li faccio mai, quelli che ho fatto sono stati scelti in maniera oculata. Credo che il concorso non ti porti realmente a niente, il più delle volte sono autoreferenziali, servono a chi li organizza e alla giuria per fare presenza. Ci sono concorsi storici, indubbiamente più seri, ma in generale non mi piace l’idea della competizione e dell’essere in vetrina in questo senso.
Relativamente ai talent, io capisco che possano fare gola, ma anche qui la realtà dei fatti è che sono serviti a pochissime persone per emergere realmente, piuttosto servono alle case discografiche che li usano per estrarre continuamente del carburante con poco sforzo, in sostanza è un modo per avere il fenomeno dell’anno servito su un piatto d’argento, non trovi? In sé questi programmi sono un prodotto televisivo che funziona, anche io li guardo, a volte, ma molti pensano che non ci sia altra strada. Poi devo dire che sicuramente non sarei adatta a quel contesto, non sono una persona equilibrata e andrei a distruggere quello che ho costruito finora. Inoltre non sono un’interprete, non sono in grado di cantare canzoni di altri a meno che non si tratti di canzoni che amo particolarmente, come sono ad esempio “Io e te” di Edda e “Insieme a te sto bene” di Battisti che propongo anche nei miei live.
Progetti futuri?
Il primo disco è andato bene, sono contenta ed è stato un miracolo che, pur essendo del tutto autoprodotto, sia arrivato perfino alle candidature del Premio Tenco. Ora sto scrivendo il secondo disco ma non so ancora dire quando entreremo in studio. Sono in un momento di riflessione in cui sto elaborando i suoni per la prossima fase, per questo non sto facendo tanti live, ho bisogno di fermarmi, di ascoltare.
E noi, Chiara, non vediamo l’ora di sapere cosa ne uscirà fuori!