Vi sarà capitato ultimamente di ascoltare in radio “L’età difficile”, il nuovo singolo dei Kaufman, una band bresciano-bergamasca, guidata da Lorenzo Kaufman Lombardi.
Alle soglie ormai del quarto album, in uscita il 10 di novembre con il titolo “Belmondo”, approdano oggi alle attenzioni del grande pubblico dai meandri della musica indie, generando grande curiosità e interesse.
Alle spalle hanno numerosi cambi di formazione e un netto cambio di direzione dal punto di vista musicale grazie anche alla direzione artistica di Alessandro Raina degli Amour Fou.
Loro sono Alessandro Micheli, Matteo Cozza, Simone Gelmini, guidati dal frontman e autore Lorenzo Lombardi.
Diversissimi tra loro ma, come dice la presentazione sul sito della casa di produzione che li rappresenta, la INRI di Torino, “accomunati dall’amore per gli Smiths e le patatine fritte”.
Una cura estrema per i testi e le armonie, un citazionismo sottile e colto, atmosfere malinconiche, quasi cinematografiche, che parlano della ricerca della felicità e della serenità.
Curiosi? Ecco la loro storia nelle parole di Lorenzo Lombardi.
Come nasce la tua passione per la musica e come nascono i Kaufman?
Personalmente, fin da piccolo ho sempre scritto molto e le cose più disparate. A un certo punto ho trovato nella musica il modo per veicolare questa passione e, quando le cose si sono fatte serie, ho firmato come autore per la BMG.
La storia del gruppo, invece, è piuttosto complicata. La formazione è cambiata parecchio nel tempo, prima eravamo molto diversi. Con la formazione attuale abbiamo ormai due dischi all’attivo, entrambi con la direzione artistica di Alessandro Raina degli Amour Fou e credo che siamo arrivati a una certa stabilità. Anche se da “Le tempeste che abbiamo” a “Belmondo” ci sono stati dei piccoli aggiustamenti. Il primo era un disco molto di nicchia, indie, non facile nei suoni. È stato proprio Raina a convincermi che avevo una vocazione pop che andava sviluppata. Così, quando mi sono messo a scrivere nuovamente, ho iniziato a farlo in modo diverso, abbiamo registrato al Black Nest Studio di Milano con Luca Serpenti e ci siamo accorti che forse questa era la strada era giusta e che c’era della potenzialità da non sprecare.
Da dove viene il nome?
Ce lo siamo dati in onore di Andy Kaufman, comico stralunato dalla comicità surreale basata sul nonsense al quale i R.E.M. hanno dedicato la canzone “Man on the moon”, diventata poi un film. La mia cultura musicale, da ragazzo, era legata prevalentemente alla musica americana e lui, in questo contesto, era considerato una vera e propria icona. In più mi piaceva il nome, suonava bene.
Musicalmente però i Kaufman sembrerebbero richiamarsi più al brit-pop o al massimo alla recente new wave dell’indie italiano. Quali sono le vostre ispirazioni?
I riferimenti alla base di questo disco sono senza dubbio gli Smiths e poi tutta la musica italiana. Sono per natura un ricercatore ossessivo e, ultimamente, ho ascoltato in modo quasi nevrotico con questo spirito tutta la musica italiana. E quando dico “tutta” intendo proprio “tutta”: tutto Battisti, tutto Battiato…
Nel nuovo disco c’è davvero molto di italiano, ma non solo della new wave indie con la quale abbiamo molti rapporti anche diretti: c’è anche il passato, “Anima Latina” di Battisti, Battiato ma anche e soprattutto Luca Carboni.
Personalmente trovo che gli Smiths e Carboni si coniughino alla perfezione, sia per l’aspetto melodico che per il loro modo di raccontare il disagio. Prova a fare un esperimento, io l’ho fatto durante un viaggio in auto: tu prendi dei pezzi dell’indie contemporaneo e in mezzo ci metti qualche pezzo del Carboni anni ’80. Lì ti rendi conto che Carboni spacca e di quanto abbia influenzato la musica italiana di oggi.
I vostri esordi però sono stati con testi in inglese…
Io credo sia stato un errore gravissimo iniziare a comporre in lingua inglese. Un errore dato dall’ingenuità. Sono cresciuto con la musica americana e mi è venuto naturale fare quella scelta perché era il mio background musicale di allora e il mio unico punto di riferimento.
Poi crescendo mi sono reso conto che, anche se conosci l’inglese davvero alla perfezione, alla fine non riesci a prestare attenzione al 100% a un testo in una lingua che non è la tua lingua madre. Poi c’è anche da dire che in una seconda lingua non ci si esprime con la stessa proprietà con cui ci si esprime nella lingua madre.
Il ritorno all’italiano è venuto quindi direi da una forte esigenza comunicativa, quella di comunicare meglio ed essere meglio compreso.
Tu sei autore di testi e musiche. Come nascono le vostre canzoni? Hai un metodo di composizione o ti affidi all’istinto del momento?
Sì, io scrivo la struttura base della canzone, poi con gli altri del gruppo lavoriamo sull’arrangiamento. Non c’è una regola, quando trovo un gancio, un’intuizione, sia melodica che espressiva, ci lavoro sopra. A volte le due cose arrivano insieme, magari sto lavorando su una cellula melodica e le parole vengono da sé.
I testi spesso sono autobiografici, almeno in parte, legati a piccole cose che mi succedono: mi piace scrivere canzoni che parlano dei rapporti di coppia e alla fine è come se facessi dei patchwork delle donne avute, ma in differita e mischiate tra loro. La canzone italiana è al 90% d’amore e io che la volevo coniugare con gli Smiths non potevo esimermi.
Nei testi di quest’ultimo album, almeno a giudicare dai primi due singoli usciti, c’è anche molto citazionismo. “L’età difficile” corrisponde al titolo di un cortometraggio di Truffaut. “Robert Smith” richiama “Friday I am in love” dei Cure.
Assolutamente, ed è un fatto intenzionale, tutte le canzoni del n
uovo disco sono per scelta iper-citazioniste. Il richiamo, anche nel titolo del disco, è chiaramente al mondo della Nouvelle Vague francese che io amo. All’interno, ogni canzone fa riferimento a questo tipo di suggestione: ad esempio, la canzone “Senza Fiato” richiama volutamente “Fino all’ultimo respiro” di François Truffaut.
Uso una citazione per dare a chi ascolta un quadro anche visivo di quello che sto raccontando, portandolo a immaginare la storia come se fosse un film.
Raccontaci dell’incontro con Alessandro Raina, produttore, cantautore, musicista, giornalista e chi ne ha più ne metta, che ha prodotto i tuoi ultimi due album. Quanto è stata importante la sua influenza nel tuo percorso?
Alessandro è un produttore ma per me è stato anche un tutor e ha avuto una grandissima influenza, soprattutto nel dispensare consigli e indicare la direzione giusta da prendere. Grazie a lui ho potuto indirizzare meglio la mia scrittura e fare emergere le cose migliori. Il successo che sta avendo il singolo “L’età difficile” anche alla radio ne è la chiara dimostrazione. È stato davvero un grande privilegio che Alessandro mi abbia dedicato del tempo.
Parliamo di questo successo del singolo “L’età difficile” anche in circuiti radiofonici main stream, legati alla musica commerciale più che al circuito indie nel quale vi collocate. Come vivete questa dicotomia e cosa vi aspettate dall’uscita dell’album?
Secondo me oggi i tempi sono finalmente maturi per risolvere questa dicotomia tra indie e pop. Mi sembra che ormai i confini tra questi due generi siano estremamente sottili, non c’è più una distinzione netta, gli artisti che funzionano nell’indie vengono guardati con interesse dalle major e al tempo stesso il circuito indie non snobba del tutto la musica commerciale.
Penso ai The Giornalisti, che sono nati come band indie per eccellenza e hanno poi avuto un grande successo commerciale e mediatico nel quale hanno deciso di buttarsi, secondo me con splendidi risultati. Anche nel nostri caso, appena sono usciti i due singoli di “Belmondo” siamo stati accolti molto bene sia dal mondo indie che da quello tradizionale.
Credo che stia diventando assolutamente normale che un gruppo indie sia seguito da una major e che le radio attingano al mondo indie per proporre ai loro ascoltatori musica fresca e interessante. Una dialettica che può portare buoni frutti.
Che consigli ti senti di dare agli emergenti di oggi? Come vedi i talent?
L’obiettivo principale del talent è fare share, tutti gli altri aspetti sono di corollario. Perfino, se vogliamo, quello di trovare un talento vero. Per questo molti di quelli che vincono in queste trasmissioni scompaiono dopo un paio di singoli. Quando partecipi a un talent devi colpire il pubblico con delle performance straordinarie che però poi richiedono un lavoro di costruzione del mondo dell’artista non così ovvio.
Agli emergenti di oggi mi sento di consigliare un percorso tanto semplice da sembrare quasi banale: fare un disco e proporlo a professionisti che sanno fare il loro mestiere, secondo me è l’unica strada possibile. Oggi fare un disco è molto più semplice di una volta, chiunque lo può fare ma questo non implica che tutti abbiano le capacità di fare un prodotto artisticamente valido, ci sono persone che fanno musica di mestiere ed è giusto affidarsi a loro per trovare la propria strada.
Poi pochi alibi: quando c’è una cosa che funziona, funziona! Non c’entrano le strategie, la promozione, la fortuna. Spesso quando si crea una cosa che si ritiene valida e invece non funziona, si pensa di non essere capito. In realtà evidentemente è perché manca qualcosa.
In questo credo di aver raggiunto una maturità, una serenità.
Questo è un mondo in cui nessuno ti insegna niente. Per quanto mi riguarda la gavetta e gli errori sono serviti e non si rinnegano, non si tratta di imparare a suonare uno strumento ma di imparare a capire se una canzone può funzionare e questa è la cosa più difficile.
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Non ci resta che lasciarvi con le date del tour. Ci sarete? siamo convinti di sì!
10 novembre- Benevento, Morgana
11 novembre- Scafati (SA), Controverso
18 novembre- Albizzate (VA), Circolo The Family
21 novembre- Milano, Arci Ohibò, INRI Night
24 novembre- Vittorio Veneto (TV), Spazio MAVV
25 novembre- Prato, Capanno Black Out
3 dicembre- Paratico (BS), Belleville Rendez-Vous
8 dicembre- Roma, Le Mura
9 dicembre- Pozzuoli (NA), Dejavù
12 dicembre- Urbino (PU), Fuoritema
22 dicembre- Mantova, Arci Tom
29 dicembre- Fucecchio (FI), La Limonaia
12 gennaio- Carpi (MO), Kalinka
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