Il protagonista dell’intervista di oggi è Stefano Barotti. Non gli piace essere definito cantautore, ma lui le canzoni le scrive e le canta, regalando sempre emozioni a chi ascolta.
Si capisce sin da subito che la musica è parte integrante della sua vita. Diretto, ironico, dotato di una sensibilità fine maturata negli anni, suonando a contatto con le persone e vivendo i luoghi e i tempi della sua musica.
Abbiamo iniziato l’intervista con la più semplice delle domande per arrivare al rapporto che Stefano Barotti ha col pubblico e i live. E allora iniziamo!
Ci racconti il tuo percorso e come ti sei avvicinato alla musica?
A 17 anni ho cominciato a scrivere canzoni e parallelamente a suonare la chitarra. All’inizio scrivevo brani lunghissimi, pensieri interminabili di tre pagine, poi ho imparato a racchiudere in 3 minuti ermetici tutto ciò che volevo comunicare.
Da li il primo gruppo dove inizialmente, per timidezza, suonavo e scrivevo solamente. Poi piano piano il desiderio di cantare i pezzi a cui ero più affezionato ha iniziato a farsi sentire e di li a poco le mie prime esibizioni come cantante.
La mia formazione passa dalla passione per artisti come Neil Young e Bob Dylan, al reggae di Bob Marley fino ai nostri cantautori. Ascolto un po’ di tutto, dal pop al rock dal blues al jazz.
Hai collaborato con artisti americani, registrato il tuo primo album tra Stati Uniti e New Messico e realizzato anche un tour europeo, quali sono le differenze che noti tra l’Italia e gli altri Paesi nell’approcciarsi alla musica dal punto di vista professionale?
In Italia o sei un nome oppure suoni nei locali e fai gavetta tutta la vita. Negli Usa il panorama discografico ha più livelli, essere musicista è riconosciuto come un lavoro, sia dal pubblico che dall’industria discografica. Il pubblico ascolta, partecipa alle esibizioni riconoscendo la professionalità dell’artista. Un esempio che faccio sempre è che negli Stati Uniti quando ti esibisci in un locale che tu sia un artista affermato o meno passi sempre con il cappello per ricevere un riconoscimento. Oltre al cachet c’è la “mancia” dei tuoi spettatori che riconoscono la tua esibizione come un lavoro. Inoltre in Italia ci sono molte leggi che bloccano lo sviluppo dell’artista, c’è molta burocrazia, ma questo è un capitolo a parte che meriterebbe un’articolo dedicato.
Cosa vuol dire essere cantautore oggi in Italia?
Quella del cantautore è una figura un po’ superata perchè il pubblico non è più attratto da questo genere di musicista, così anche le majors che preferiscono l’artista con il pezzo forte, capace di spaccare al primo ascolto. Anni fa prima di diventare famoso e entrare nell’olimpo dei big dovevi uscire con diversi album, oggi è tutto più veloce, basta un brano e sei già nei top.
Tornando a me, negli anni la mia scrittura è diventata più spontanea e ironica, mi sono allontanato dal cantautorato classico, mi identifico sempre più nel ruolo del musicista a tutto tondo, non mi riconosco nelle generazioni passate dei grandi cantautori, sono più leggero, meno impegnato, mi piace il termine americano di songwriter. Sono aperto a tanti generi e amo mettermi alla prova anche in altri ruoli: produco, arrangio canzoni per colleghi, suono e collaboro con artisti americani. Cambiare e mettersi in gioco è faticoso, ma ti permette di aprirti e crescere musicalmente. Negli ultimi anni ho collaborato con Claudia Pisani, Freddie Del Curatolo, Nima Marie, i Gang, Jono Manson, Joe Pisapia, Jaime Michaels, Kreg Viesselman solo per citarne alcuni. Tutte esperienze divertenti e costruttive. Il mio motto è
Apri il cancello e vedi che succede.
I titoli dei tuoi album sono molto particolari e introspettivi, rimandano immediatamente alle atmosfere del disco. Come arrivi al titolo perfetto?
I titoli arrivano da soli, sono come i nomi. Per i primi due è stato facile ho scelto il titolo di un brano in essi contenuto che più esprimeva il concept dell’intero progetto. Per Pensieri Verticali il suggerimento è arrivato da Chiara, la persona con cui condivido la vita, l’ho elaborato ed ho capito che avrebbe funzionato. E’ un titolo tratto dal brano L’uomo armadillo, è il pensiero impennato, il pensiero che va verso l’alto, che si eleva in un periodo storico dove tutto invece è molto orizzontale.
La tue canzoni parlano di te, i tuoi concerti sono come un viaggio nella tua realtà, cosa provi quando suoni live e vedi che il pubblico condivide con te le tue emozioni?
L’esibizione live sono la punta dell’iceberg della preparazione di un concerto, prima devi arrangiare brani, trovare i musicisti giusti, prepararti. I live sono il motivo per cui fai il mestiere del musicista. Mentre ti esibisci dai al pubblico, ma ricevi da loro emozioni energie ancora più forti. Il tuo bisogno di comunicare viene appagato totalmente, è un momento magico, le tue canzoni vecchie riprendono vita ogni volta con energie diverse ogni volta speciali. Io suonando cresco, ogni live è un mondo nuovo. Si crea affinità con il pubblico, coinvolgi gente nuova. Mi piace a fine concerto scambiare quattro chiacchiere con il pubblico che è desideroso di raccontarti cosa gli è arrivato. Mi piace perchè le mie canzoni diventano degli altri.
Ci parli dell’ultimo progetto e di come è nato?
Da anni l’azienda Velier di Genova supporta la mia musica, da qui l’idea di realizzare concerti acustici in Location private in tutta Italia, dove le mie canzoni sono abbinate ai vini “Triple A”.
Quello che ci unisce è il fatto che entrambi siamo naturali, con pochi o niente solfiti. Un modo per riscoprire la bellezza della musica dal vivo in una situazione intima e raccolta che ha dato vita a un concept album che parla di terra e di vite, un piccolo viaggio nel mondo del vino naturale.
Questo progetto sta lasciando il posto a una nuova avventura di cui parlerò presto…
Infine che consiglio daresti a un musicista emergente?
Come già detto è un mestiere complicato in Italia, siamo in un Paese poco disposto ad aiutare i giovani artisti. Consiglio a tutti di custodire e far crescere il proprio talento e il proprio io critico, di capire quanta bellezza c’è in quello che fai. Se quando ti mescoli con gli altri sei all’altezza oppure no. Sacrificio, studio, e capire quanto il tuo talento cresce e soprattutto se c’è il talento. Non è facile… ma ai giovani artisti consiglio di focalizzarsi prima di tutto su questo.